La Questione del sito
Dopo la ritirata delle truppe d'occupazione (primavera 1944) e il difficile e progressivo rientro dallo sfollamento forzato, il problema più importante ed urgente da affrontare e da risolvere fu quello della ricostruzione del paese.
Nonostante la sua drammaticità, la questione sull'opportunità di abbandonare il vecchio sito, troppo arroccato sulla rupe, di difficile accesso, scomodo e impossibile per una ricostruzione razionale e più moderna delle case e dei servizi, e di riedificare il paese "ex novo" a Fonticelle, località distante circa 2 Km dal centro distrutto, lungo la strada che porta a Torricella Peligna e a Palena, sollevò un acceso dibattito nella comunità locale.
La discussione sul sito fu viva, a tratti aspra. Essa interessò non solo i capi famiglia e le autorità locali, ma anche le autorità di governo che fecero una visita in loco e, in occasione della preparazione del Piano di ricostruzione, con una raccomandazione ad hoc, appoggiarono l'opportunità di cogliere l'occasione per migliorare la topografia di Montenerodomo, riedificandolo in una zona meno scoscesa, più facilmente accessibile ai mezzi di trasporto, meno esposta ai venti e più comoda per tutta la popolazione: la piana di Juvanum, appunto località Fonticelle.
Anche gli Uffici tecnici provinciali competenti manifestarono una preferenza per questa località rispetto all'altra denominata "Piano Ianiero", quando si trattò della ricostruzione delle prime case per " i senza tetto". Infatti, il Genio Civile di Chieti approvò (aprile 1946) la costruzione a Fonticelle, a tempo di record, di 12 appartamenti e 4 "villette" bifamigliari per venire incontro al disperato bisogno delle famiglie "senzatetto" alla ricerca di un'abitazione sicura. Quelle case furono assegnate soprattutto alle famiglie che avevano abitato fino allora proprio sulla rocca più alta del paese (la Cataroscia) e che ritenevano quel posto scomodo e inadatto per una ricostruzione razionale delle loro abitazioni.
La controversia
L'iniziativa del Genio Civile e le argomentazioni dei sostenitori del trasferimento del paese nella località Fonticelle incontrarono la ferma opposizione della controparte che sosteneva che se il paese fosse stato ricostruito nella piana di Juvanum sarebbe stato più difficile e più scomodo raggiungere i campi situati nella zona opposta, quella verso Pizzoferrato, dove sorgevano le contrade di Lago Saraceno e di Selvoni. Inoltre, il trasferimento del paese avrebbe richiesto nuovi scavi per le fondamenta delle case, più spese per il trasporto del materiale di recupero da riutilizzare dalla vecchia alla nuova zona, nuove infrastrutture e tempi più lunghi per avere un tetto.
La disputa, ovviamente, coinvolse direttamente anche l'Amministrazione comunale, la quale promosse un referendum sulla determinazione della località in cui ricostruire le case per i "senza tetto" e,quindi, il paese . Era la primavera del 1946.
La scelta.
La maggioranza delle famiglie scelse di non spostare il paese e di riedificarlo sul vecchio sito. E con delibera del 3 agosto 1946, la Giunta municipale, sotto la presidenza del Commissario prefettizio, stabilì che" .....le nuove case per i senza tetto di Montenerodomo vengano edificate in muratura listata nella località "Piano Ianiero", di esclusiva proprietà del Comune di Montenerodomo, facendo sorgere nella predetta piana tutti gli edifici pubblici al solo scopo di evitare lo spezzettamento del paese di cui già si notano i tentativi".
Il paese incominciò a risorgere sulle rovine della guerra: per l'angustia dello spazio e l'eccessivo frazionamento delle proprietà, la ricostruzione fu necessariamente modellata sulla vecchia planimetria di tipo medioevale.
La sommità della rocca (L(e) Coll(e)) fu, in ogni modo, abbandonata dalla maggior parte delle famiglie che vi avevano abitato, fra cui quella dei Croce che ricostruì il proprio palazzo " dietro la Fonte de la Selva", zona più comoda ed accessibile soprattutto ai mezzi di trasporto. Sulla rocca era rimasta solo la Chiesa di San Martino. Accanto ad essa, nel 1947 vi fu costruito, sulle rovine del palazzo De Thomasis, un asilo infantile. Protagonista di questa iniziativa che simboleggiò la rinascita del paese, fu un gruppo di una ventina di giovani operosi volontari quaccheri americani.
Un avvio solidale : i Quaccheri
Per sostenere concretamente la ricostruzione del paese fu determinante l'intervento di alcune Associazioni di volontariato americane che operavano, nell'immediato dopoguerra, nella nostra provincia e, successivamente, il sostegno umanitario dell'UNRRA CASAS.
Ancora oggi noi ricordiamo con profonda gratitudine l'aiuto materiale e morale profuso dall'American Friends Service Committee (AFSC) e dalla FAU (Friends Ambulance Unit), associazioni che ebbero un ruolo di supporto e di stimolo d'eccellenza nella fase più critica della ricostruzione di Montenerodomo, nel momento in cui i nostri nonni, i nostri padri (alcuni reduci di guerra) dovettero affrontare i problemi della sopravvivenza delle loro famiglie -ancora sfollate o alloggiate, alla meglio, in locali angusti e malsani- e quelli della ricostruzione di un tetto sicuro e del lavoro dei campi, unica fonte di sostentamento per l'anno successivo.
Quei gruppi di giovani volontari americani erano presenti nel nostro territorio fin dal 1945. Furono essi, con i loro mezzi, ad assicurare il trasporto gratuito del materiale edile e ad offrire un'assistenza logistica. Ciò rese possibile, tra l'assenza totale di mezzi di trasporto e la penuria di mezzi economici, la riparazione dei pochi locali non completamente distrutti, l'abbattimento dei muri pericolanti, lo sgombero e il parziale ripristino delle strade del paese, delle fontane, delle fognature, dell'energia elettrica ed anche il trasporto delle poche masserizie, quando le famiglie ritornavano dello sfollamento forzato. Il loro operare concreto e affabile conquistò la fiducia dei monteneresi e costituì una solida e duratura base di cooperazione per tutta la comunità locale "ridando ad essa fiducia nelle proprie capacità e nel futuro".
Il gruppo di volontari americani che s'installò a Montenerodomo (1946), coordinati da Mr. Bainbridge Bunting e da Mr. Macy Whitehead, quaccheri(1), autentica tempra di benefattori, prese molto a cuore la sorte del paese e nel 1947, a proprie spese e con l'aiuto gratuito dei cittadini di Montenero, costruirì un asilo infantile. Si trattava di due locali parzialmente distrutti che furono riparati ed adattati uno ad aula ed uno a cucina, e di un'aula più grande, costruita ex novo con fondi dell'AFSC e con il sostegno finanziario della generosa comunità dei monteneresi residente negli USA. Infatti, Mr Bainbridge, allo scopo, era riuscito a costituire a Montenero un Comitato pro-asilo non solo per discutere del "progetto asilo", ma anche per solidarizzare e promuovere una maggiore conoscenza e fiducia reciproca. Nei mesi di agosto e settembre 1947, si provvide a ultimare la copertura dei locali, a sistemare porte e finestre, ad allacciare l'acqua, la corrente elettrica, a comperare due stufe per il riscaldamento. L'arredamento fu offerto dal CIF (Comitato Italiano femminile) e consisteva in 10 tavolini, 40 seggiolini, qualche armadio, ed altri oggetti vari. Il tutto per accogliere 40 bambini, i più grandi, rispetto ai 139 bambini candidati all'ammissione, nati tra il 1942 e 1943. Con l'arrivo di tre maestre a carico dallo Stato, l'asilo fu aperto il 9 marzo 1948.
L'asilo infantile fu il simbolo della rinascita del paese , il primo segnale concreto del ritorno alla normalità. Si era pensato, infatti, ai bambini, dando loro un posto dove poter giocare insieme, essere seguiti e, nello stesso tempo, alleggerire le famiglie impegnate nel duro lavoro della rimozione delle macerie per ripristinare le strade, ritrovare le fondamenta delle case, abbattere i muri pericolanti, riparare i locali di emergenza per permettere alle famiglie sfollate di ritornare oppure impegnate nel lavoro necessario dei campi.
La sala più grande dell'asilo fu adibita a refettorio, a sala giochi e, all'occorrenza, essa era utilizzata per le riunioni comuni della popolazione o per gli alunni della scuola elementare, sistemati anch'essi in locali di emergenza, a volte neanche troppo sicuri.
La fruttuosa collaborazione tra i giovani benefattori americani e gli insegnanti elementari dell'epoca (i maestri Lorenzo D'Orazio, Davy Carozza, Pietro Tamburino, Ruffina Mariotti che assicurarono anche la redazione dei testi teatrali) permise anche l'allestimento di semplici recite alla quali partecipava tutta la comunità locale, nella consapevolezza di offrire a tutti, bambini e adulti, momenti di serenità.
(1)
" I QUACCHERI (Società degli amici), appartengono al gruppo delle cosiddette "chiese pacifiste storiche", cioè a quei movimenti cristiani nel cui codice genetico è iscritto il rifiuto alla violenza".
Movimento nato nel clima di fermento religioso dell'Inghilterra del Seicento fondato da George Fox ( 1624-1691), di impronta mistica, sostenitore del principio della libertà di coscienza, rifiutava ogni forma di guerra e il servizio militare . Di conseguenza, fu perseguitato in tutta l'Europa, motivo per cui molti quaccheri cercarono rifugio negli Stati Uniti d'America, e soprattutto in Pensylvania, fondata dal quacchero William Penn".
Dalle persecuzioni subite maturò una ferma convinzione di tolleranza che li spinse a schierarsi, in seguito, contro ogni forma di violenza e la schiavitù ed a favore del pacifismo e dell'impegno sociale. Ma " per i Quaccheri il pacifismo non fu mai un semplice rifiuto di prestare il servizio militare. Fu piuttosto un modo di vivere incompatibile con la violenza e la guerra, un'espressione esteriore dello "spirito interiore" di verità e di amore, di cui ogni persona è dotata e che deve essere nutrito e messo in pratica nella vita quotidiana, nel mondo in cui viviamo per migliorarlo".
Il loro intervento ebbe inizio ufficialmente alla fine di aprile 1945 nella valle dell'Aventino e interessò le località di Casoli, Colledimacine e Montenerodomo. Durante l'estate, con l'arrivo di nuovi volontari (anche giovani italiani) e di nuovi mezzi di trasporto, il programma di aiuti si estese a Palena, Lettopalena e Taranta Peligna e la base operativa fu spostata da Casoli a Palena. A novembre, però, a causa della neve, tutto il gruppo si trasferì ad Ortona. Nel gennaio 1946, l'AFSC e la FAU assunsero la gestione della ricostruzione in un'area più vasta, che comprendeva Villa Santa Maria e Castel di Sangro.
(informazioni tratte dal catalogo della mostra storico-documentaria "Ricostruzione e riconciliazione" ,1998, a cura del prof. Massimo Rubboli, promossa dalla Provincia di Chieti)