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La Contea di Palena

Nel 1467 Matteo di Capua ottenne direttamente dal re Ferrante "le terre di Palena, Lama, Letto, Montenegro, Furcapalena cum eorum hominis, vassallis, casalibus villisque, mero mixtoque imperio et gladii potestate banco iustitiae et cognitione causarum civilium, criminalium et mixtarum" (B. Croce, op. cit.), che nell'insieme diedero origine alla Contea di Palena.
Matteo di Capua, intrepido condottiero al servizio di Ferdinando d'Aragona, fu l'artefice della riconquista di gran parte delle terre abruzzesi che, dopo la battaglia di Castel San Flaviano, erano state sottomesse dal Piccinino, capitano di ventura al soldo del principe di Taranto. Quale premio per le sue conquiste ricevette il Ducato di Atri e il Contado di San Flaviano, sottratti agli Acquaviva, che però dovette cedere agli stessi Baroni quando Giuliantonio Acquaviva, figlio di Giosia, venne a patti con il Ferrante venendo reintegrato nei suoi possedimenti. Matteo di Capua fu investito allora della Contea di Palena.
A Matteo successe il figlio Bartolomeo, che, nel 1481, aggiunse alla Contea la terra del Gesso (che da quest'inclusione ereditò il nome attuale di Gessopalena), e a questi, nel 1518, Gian Francesco di Capua.
E' di quest'anno il primo "statuto" dell'Università (il comune) di Montenegro che regolamentava norme ed usanze locali nel pieno rispetto dei cittadini tra loro e in rapporto con l'Università e con il feudatario al fine di evitare usurpazioni e vessazioni. In esso erano descritti i tributi dovuti dall'Università quali la tassa per il libero passaggio delle greggi, per il pascolo, per i vigneti, per il possesso di animali e per la vendita dei frutti arborei, i suoi diritti, nonché le sue rendite. Venivano, inoltre, stabiliti i confini con le Università vicine e quelli della "difesa" comunale.
Le "Università" erano organismi amministrativi nei quali amministratori eletti dal popolo affiancavano i rappresentanti del potere centrale. Infatti, a partire dal tardo medioevo, l'autorità dei feudatari, a seguito delle lotte per le investiture, era andata man mano indebolendosi a vantaggio del popolo, il quale, seppur lentamente e con molta fatica, aveva via via conquistato sempre maggiore autonomia fino a giungere, nel XV secolo, all'elezione di propri amministratori.
A Gian Francesco successe Giulio Cesare di Capua, principe di Conca, al quale la Regia Corte spagnola, nel 1540, vendette "le seconde cause civili, criminali e miste, cum potestate recognoscendi pondera et mensuras" sulle terre della propria Contea.
Monsignor Oliva, che visitò più volte il paese, tra il 1568 e il 1586, riferisce che la popolazione, (composta nel 1576 da 150 fuochi) era di indole pacifica, tanto che, a memoria d'uomo, non si registravano fatti di sangue o delitti contro il patrimonio, ma, si lamentava che si lavorava nei giorni festivi, si dava ascolto alle fattucchiere e, soprattutto, si celebrava ancora qualche matrimonio tra consanguinei. Vi era, inoltre, un maestro di scuola (Antonio Mangaldo) e, nel paese, oltre all'Abbazia di Santa Maria del Palazzo, abbisognevole di riparazioni, ma che conservava nel suo interno alcuni quadri e reperti archeologici di pregevole fattura, vi era la Parrocchia di San Martino e le chiese di Sant'Antonio, di San Rocco, di Santa Giusta, del Santissimo Sacramento e di Santa Maria delle Grazie.
Estinta la famiglia di Capua nel 1632, la Contea di Palena tornò alla Regia Corte, dalla quale, nel 1656, fu acquistata dalla famiglia tarantina dei d'Aquino, che la possedette fino all'eversione della feudalità.
I d'Aquino non appartenevano alla baronia storica. Questa, nel XVII secolo, fu soppiantata da una nuova classe di baroni, quella borghese dei grandi proprietari, banchieri e mercanti che acquisirono titoli nobiliari con l'acquisto di feudi dalla Regia Corte.{mospagebreak}
I nuovi baroni non furono da meno di quelli che li avevano preceduti. Continuarono ad opprimere dispoticamente sia i Comuni che i cittadini, anzi invasero perfino la libertà di questi ultimi di scegliersi i propri amministratori.
All'amministrazione dell'Università di Montenegro, coadiuvato da due "massari" e da cinque cittadini detti "del reggimento", provvedeva, infatti, un Camerlengo che veniva scelto dal Conte tra una triade di persone liberamente elette, il 16 agosto, dalla popolazione. Questa, nel frattempo, era men che dimezzata. Antonio De Nino nel 1652 gli attribuisce non più di 300 abitanti, divisi in 54 fuochi, tra i quali un dottore, un giudice, un notaio (Tommaso de Leone), tre sarti e quindici addetti all'industria "dei panni di Tarantola" (A. De Nino, Palena, Letto Palena e Montenerodomo nel 1652).
Sempre allo stesso Conte spettava la nomina dell'arciprete della chiesa matrice e dell'abate dell'abbazia di Santa Maria del Palazzo, nei dintorni della quale, il 7 maggio, si svolgeva l'annuale fiera.
Nell'"apprezzo" della Contea di Palena del 1652, ripreso dal De Nino, vi è un'attenta descrizione di Montenerodomo, dei suoi abitanti e del clima. In esso si dice: "La Terra di Montenigro stà situata nella detta Provincia di Apruzzo Citra ...La quale stà situata sopra una cima di monte di Pietra negra è murata intorno, e tiene due porte, una da Levante detta di S. Martino, et l'altra da mezzogiorno. L'abitationi sono bassi et camere sop. fabbricato di pietre vive coverte al generale di embrici, vengono divise da strade piccole longhe piane et pendinose inselicate di pietra viva...Le donne se esercitano a filare la lana et tessere panni, et altri esercitii di case, et altre alle campagne, dormono al meglio che si può...sono di buono aspetto, li uomini come le donne per essere il sito di aere sottile per stare eminente dalle fiumare, gode il sole da tutte le parti, viene ventilato da tutti i venti. L'inverno è orrido et l'estate è fresca, nella quale in tempo di neve vi risiede molto tempo...Per comodità delli detti abitanti sono acque fresche et sorgente a molte parte della Terra. Li territorii, seu. jurisd. di detta terra di Montenigro stendono cioè da Levante un miglio, et confina con lo territorio della Penna, Civita Luparella; da Mezzogiorno stende un miglio con territ. di Pizzo ferrato, da Ponente stende miglia due, et confina con lo territorio dello Lietto, Colledemacine, da Settentrione stende un miglio et confina con lo territorio Falosceto, Torricella, li quali terreni attorno la terra sono tutti pendinosi, da Levante sono vigne, orticelli di verdure, appressi sono terreni seminatori et colline, dalli quali pervengono vini bianchi...(Atti Antichi Demaniali tra il Regio Fisco, l'Università di Palena e il Monastero di Santa Chiara – Vol. II).
A Tommaso d'Aquino, che l'aveva acquistata nel 1656, subentrò nella signoria della Contea di Palena il figlio Giacomo ed a questi Francesco d'Aquino, principe di Caramanico, cui successe il figlio Tommaso Landolfo, che ne fu l'ultimo signore.
Intanto, nel governo del Regno, nel 1707, agli Spagnoli erano subentrati gli Austriaci e, nel 1738, a questi i Borboni, ma per la piccola Università di Montenerodomo le cose erano rimaste invariate. Oltre ai tributi dovuti alla Regia Tesoreria (focatico, testatico, ecc.), essa era tenuta al pagamento dei pesi feudali ai d'Aquino, che nel corso degli anni continuavano inesorabilmente a lievitare e ai quali faceva fronte con le proprie rendite (censi, erbaggi, diritto del forno, dell'osteria, della salumeria, ecc.) e, se insufficienti, con l'introduzione di nuove gabelle (imposte indirette sui consumi). Singolare era poi il Tributo pagato dall'Università "all'utile signore" per il mantenimento delle proprie favorite, che, inizialmente "una tantum", divenne in seguito perpetuo a beneficio di quelle che avevano rimpiazzato le prime. Abuso per il quale il Principe di Caramanico fu condannato dalla Commissione feudale a restituire, all'Università di Montenerodomo, 4.804 ducati, indebitamente riscossi dal 1743, per 64 anni.

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