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I Croce e i De Thomasis

Ma tra questi pastori umili e di miti costumi, emersero alcune famiglie più industriose che di anno in anno acquisirono maggiore agiatezza. Già nel '600 i De Thomasis, i Rossi, i Calabrese e i Coletti affittavano pascoli in Puglia, dove, in inverno, conducevano i propri armenti. Nel secolo successivo la famiglia Croce divenne la più facoltosa del paese, assicurandosi la proprietà, oltre che di un ingente numero di animali, anche di terre e di fabbricati.
Con il sopraggiungere dell'agiatezza queste famiglie ebbero anche accesso agli alti gradi della cultura. Così si laurearono in legge Tommaso De Thomasis e i suoi due figli Giacinto e Giuseppe, Benedetto Croce e due suoi nipoti, Martino e Benedetto (nonno del filosofo); in medicina, invece, Giuseppe Coletti e Onorato Croce (oltrechè in filosofia).
L'affermazione di questi nuovi borghesi fece da sprone per i Monteneresi, i quali, in seguito alla carestia del 1764, estesero e intensificarono l'agricoltura migliorando i metodi di coltivazione, introducendo la semina del mais e l'uso del concime, che incrementò i raccolti e permise la messa a coltura di terre fino ad allora improduttive, piantando vigne e perfino alberi da frutta.
Alla fine del secolo, infine, venne introdotta la coltivazione della patata che, in poco tempo, oltre a diventare la principale fonte di sostentamento della povera gente, divenne una vera e propria risorsa per Montenerodomo, come riferisce il viaggiatore Edward Lear, il quale, nel 1843, ospite della famiglia De Thomasis, descrive "interminabili campi di patate, un prodotto che rappresenta la maggior ricchezza di Monte Nero d'Omo" (E. Lear, Illustred excursions in Italy, Londra 1846).E tale è rimasta fino a qualche decennio fa, quando si usava ancora barattare la produzione eccedente il fabbisogno familiare con altre derrate alimentari (soprattutto frutta) prodotte nei paesi della valle.
Edward Lear, scrittore e paesaggista inglese, raggiunse Montenerodomo, proveniente da Pizzoferrato, il 22 settembre 1843, durante il suo secondo viaggio in Abruzzo, su invito di don Saverio De Thomasis. Così descrive il paesaggio che si presentò davanti ai suoi occhi una volta oltrepassato il monte Serra: "In poco meno di un'altra ora di cammino abbiamo raggiunto la sommità di una montagna, donde la veduta era ancora più grandiosa di quella che avevamo lasciata. Montenerodomo, un paese raccolto e moderno (Lear era molto sobrio e schietto!) , era alla nostra destra e, davanti a noi, lontano, ...l'azzurro splendente Adriatico; alla sinistra s'innalzava l'immensa Maiella, con la cima ancora coperta di neve..." E una volta raggiunto l'abitato: "Il palazzo dei de' Thomasis è nella parte più alta di Montenerodomo; le strade di questo paese sono fatte a gradinate, ma ben tenute e pulite". Il pomeriggio successivo non mancò di disegnare ciò che aveva destato il suo interesse ("Montenerodomo e l'immensa veduta da esso offerta, il tramonto sull'Adriatico e l'enorme Maiella, illuminata dal sole"), ma l'insopportabile freddo delle nostre altitudini lo spinse, l'indomani, a raggiungere la costa adriatica.
Gli avvenimenti del 1799 (l'invasione delle truppe francesi del generale Championnet e il semestre dell'effimera Repubblica Partenopea), al contrario di paesi a noi vicini come Casoli ed Altino, non trovarono eco nel nostro Comune a differenza del decennio di governo dei Napoleonidi (1806-1815) quando, prima Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone, e quindi il cognato Gioacchino Murat furono artefici di numerose riforme. Fu modificata la pubblica amministrazione con la divisione del Regno in Province e Distretti; furono istituiti nei Comuni i Decurionati (i Consigli comunali); fu abolito il "testatico" così come numerosi altri tributi. Ma "la madre di tutte le riforme" fu l'eversione della feudalità, ossia l'abolizione del sistema feudale.
L'ordinamento feudale comprendeva i demani feudali, ecclesiastici e comunali e le difese, terre chiuse adibite al pascolo degli animali da lavoro.
La riforma dei Napoleonidi consisteva nella ripartizione dei demani feudali ed ecclesiastici in proporzione tra i Baroni ed i Comuni. La quota spettante a questi ultimi, con l'aggiunta dei demani comunali veniva poi quotizzata tra tutte le famiglie del Comune ad iniziare dalle più indigenti.
Commissario del Re per la Divisione dei Demani nei tre Abruzzi fu nominato il montenerese Giuseppe De Thomasis, il quale, in quest'opera, si avvalse della collaborazione del fratello Giacinto e del conterraneo Pasquale Croce, quest'ultimo in qualità di agrimensore.

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