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Ricordi... Di Alfonso Calabrese

8 settembre 1943 ore 20 circa

Si sente un vociare di gente dalla finestra di casa mia, in Salita Garibaldi: vediamo donne entrare nella chiesetta di San Vito. Incuriosito, raggiungo la piazza, oggi De Thomasis, e osservo la chiesa piena di persone: alcune accendono ceri, altre pregano, tutte invocano il Signore affinché faccia tornare presto a casa i figli o i mariti che sono sotto le armi. Il giorno dopo, mentre sto mangiando con i miei famigliari, non sento parlare altro che dell'armistizio e sui volti di tutti riesco a leggere una grande speranza, ma ad un certo punto mio padre, rivolgendosi a mia madre, dice con voce seria: "Concetta, la guerra per noi comincia adesso.". Parole profetiche!

15 settembre 1943 domenica

Dopo aver assistito alla messa delle ore 12, ritorno a casa per il pranzo insieme ad altre persone. All'altezza della cantina di Giustino Carozza qualcuno grida: "I Tedeschi sul colle del Tasso...!!!" Alziamo tutti lo sguardo e, alla vista di due soldati, ci mettiamo a correre. Io raggiungo la mia casa e racconto con il cuore in gola ciò che ho visto; si comincia a parlare del prevedibile arrivo dei soldati tedeschi e mio padre fa osservare a mia madre che è opportuno andare via da casa e trasferire alle "Munilelle", dove c'è una nostra casetta, le tre ragazze e i due maschi grandicelli per paura che possano cadere nelle mani dei Tedeschi. Così rimaniamo in casa soli io, di sette anni, mia madre e mia nonna, mentre il resto della famiglia trova rifugio in campagna.

Ottobre 1943

Un giorno vediamo arrivare a San Vito tre camion tedeschi con sopra alcuni maiali. Mia madre capisce subito e mi spiega quali sono le loro intenzioni. Infatti scendono dai camion alcuni soldati armati e si sparpagliano tra le vie del quartiere, in cerca di animali da razziare. Si fermano dietro le porte che ritengono siano delle stalle, fanno il verso del maiale e, anche quando l'animale non risponde, sfondano e portano via tutti gli animali che trovano. "Preda bellica", dicono. Dopo alcune ore i tre camion sono stracarichi di maiali e si accingono a partire, ma, con l'enorme carico, non riescono ad avviarsi. Vicino c'è un uomo anziano di Montenero, il quale, viste le difficoltà dei Tedeschi, invita con il braccio i Monteneresi presenti ad avvicinarsi per spingere i mezzi: nessuno si muove, anzi tutti corrono a rinchiudersi in casa. Dopo qualche tempo osservo dai vetri della finestra della mia casa la piazza di San Vito: non c'è più nessuno.

Primi di novembre 1943

Il banditore, passando per le strade, avvisa la popolazione che bisogna lasciare libere le case. Anche mia nonna, mia madre ed io ubbidiamo all'ordine e ci uniamo ai nostri famigliari partiti in precedenza. Dopo qualche giorno le case di Montenero vengono minate e fatte saltare in aria. Il paese diventa un cumulo di macerie. I primi freddi si fanno sentire, ma noi non possiamo più tornare a casa.

Gennaio, o forse febbraio 1944

Io, mia mamma, mia nonna e le mie tre sorelle ci troviamo sfollati nel paese di Pennadomo, presso una casa lungo la strada che porta a Villa Santa Maria, ospiti di una famiglia generosa che non potrò mai dimenticare. In paese si sparge la voce che è arrivata una pattuglia di Tedeschi. Ci rintaniamo in casa. Ad un certo punto quei soldati entrano correndo proprio nella nostra casa, salgono le scale che portano al piano di sopra... Tutti noi, stretti intorno alla nonna e a nostra madre, tremiamo di paura. Dopo alcuni minuti, che a noi sembrano un'eternità, li vediamo ridiscendere correndo: non hanno trovato niente e nessuno! (...per nostra fortuna, altrimenti non sarei qui a raccontare). Il giorno dopo vengo a sapere da mia madre che i Tedeschi andavano in cerca di alcuni partigiani sfuggiti alla loro vendetta. Un altro giorno, un'altra voce corre in paese: a Pizzoferrato c'è stato uno scontro tra partigiani e truppe tedesche. Passano uno o due giorni, vedo gente correre verso la chiesa, vado anch'io, entro e vedo all'interno tre bare con i corpi di tre partigiani morti. Mi avvicino ad una di esse e mi fermo ad osservare la testa del partigiano avvolta con una benda bianca all'altezza della fronte; un'altra la avvolge passando sotto il mento. Intorno tante persone piangono e imprecano contro la guerra.

Inverno 1943/1944

Nella casa di Pennadomo, dove siamo ospiti, la padrona ha sistemato sotto le scale le patate da seminare la primavera successiva. Ma durante l'inverno io e le mie sorelle, tutte le mattine, prendiamo alcune di queste patate e le cuociamo nella brace... (la fame era nera!) Quando ripartiamo per tornare nella nostra casetta delle Munilelle, delle patate da seminare non ne è rimasta neanche una. Negli anni successivi la padrona della casa di Pennadomo e i suoi figli vengono spesso a trovarci a Montenero e noi offriamo loro tutto ciò che abbiamo, per ricompensarli delle patate e dell'ospitalità che ci fu offerta durante i mesi terribili tra dicembre 1943 e marzo 1944.

Aprile 1944: ritorno a Montenero

Una mattina mio padre sveglia me e mio fratello Camillo. Dalla casetta delle "Munilelle" raggiungiamo Montenero, anzi, le macerie di Montenero. Nella piazza di San Vito troviamo in piedi solo la chiesa e i muri della nostra casa che ad essa si appoggia. Mio padre decide, nei giorni successivi, di rifare il tetto e la soletta della casa di S. Vito, così ci si mette al lavoro. Lui prepara le travi per il tetto e con il nostro aiuto le posiziona. Per finire il lavoro occorre della malta: mentre Camillo racimola come può un po' di sabbia e della calce, io con due piccoli recipienti mi reco a prendere l'acqua alla Fonte della Selva (la fontana della piazza di S. Vito è ricoperta di macerie). Lungo la strada cammino su enormi mucchi di calcinacci e non incontro nessuno. Ho una gran paura di trovarmi solo: ho appena otto anni! Dopo aver sistemato travi e tavole, mio padre si rende conto che le tegole a disposizione non sono sufficienti e allora io e Camillo ci rechiamo presso le case diroccate e nelle strade colme di macerie e raccogliamo i pezzi di tegole che troviamo. In pochi giorni la casa di San Vito è pronta ad accoglierci e così dalle Munilelle torniamo tutti a Montenero.

La nostra è una delle prime famiglie tornate in paese.

La guerra per noi è finita! Bisogna ricominciare a vivere.

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