Quando i primi mezzi militari dell'avanguardia delle truppe germaniche entrarono in paese il 4 ottobre 1943, festa di S. Francesco, senza il clamore o l'irruente crudeltà fin troppo conosciute in stato di guerra, la popolazione rimase scossa e in tutti crebbe uno stato di sospesa e vigile attesa nei confronti dei quei soldati così discreti che non mostravano alcuna intenzione belligerante e che si muovevano invece nel silenzio, in atteggiamento osservatore.
Passate alcune settimane i militari incominciarono ad avvicinare i paesani alla ricerca di generi alimentari. Alle prime pacate richieste seguirono le pretese, sempre più consistenti e minacciose, di capi di bestiame e/o di vettovagliamenti. Fu allora che i capifamiglia misero in atto la loro strategia : dapprima si nascose il bestiame in mezzo ai fitti boschi vicini (soprattutto Paganiello), in capanni scavati nel terreno e ricoperti alla meglio con frasche,terra e lamiere per ripararsi dalle intemperie, dove spesso abitavano anche intere famiglie, poi fu la volta dell'allontanamento dal paese delle famiglie portate nelle masserie o nei paesi limitrofi laddove non c'era la presenza nemica (Pennadomo, Roccascalegna, ecc...o addirittura le Puglie), accolte con ammirevole generosità da conoscenti e famiglie amiche.
Solo gli anziani restarono in paese, come lari del focolare, nelle case ormai vuote di vita ma piene di ricordi passati e di speranze future. Il loro monito silenzioso spinse alcuni, tra adulti e giovani, ad organizzarsi nel desiderio di difendere il paese dalle razzie e nel contempo per ritornare essi stessi di notte nelle case a rifornirsi di quel cibo, opportunamente nascosto, di cui ormai tutti avevano assoluta necessità.
Questo segnò la definitiva frattura con il nemico : il 26 novembre 1943 il paese venne minato, casa per casa, con precisione maniacale. I soldati chiusero ogni infisso affinché l'effetto esplosivo fosse il maggiore possibile, dopo aver fatto evacuare gli abitanti anziani rimasti. L'8 dicembre 1943, vi fu una seconda incursione nemica per far saltare in aria le poche case che erano state solo parzialmente distrutte. Così il paese era totalmente raso al suolo.
Il periodo fine dicembre '43 – febbraio '44 fu cruento per i monteneresi.. Il nemico, forte del sempre più frequente uso delle armi contro la popolazione civile indifesa ed inerme, cominciò ad attuare vere e proprie rappresaglie ed esecuzioni, anche di notte, quando gli uomini si avvicinavano al paese per recuperare tra le macerie indumenti e/o vettovagliamenti, portando fino a 55 il numero delle vittime civili, di cui 47 per fucilazione, 6 per scoppio di mine, 1 per bombardamento ed 1 per assideramento. La lista nominativa di tali vittime è conservata negli archivi del Comune di Montenerodomo.
Nel marzo del '44 il grosso delle truppe di occupazione si ritirò verso Palena,Roccaraso,Cassino, lasciando ovunque dietro si sé devastazione, miseria, ferite dolorose, lutti e tanta,tanta paura.
Il rientro degli abitanti in paese avvenne in modo progressivo e con molta prudenza a causa delle frequenti incursioni della retroguardia nemica. Dopo lunghi mesi di privazioni e sofferenze, lontano dalle proprie case, costretti a vivere in abitazioni provvisorie o locali di fortuna privi di ogni genere di servizi, molte famiglie tornarono a Montenerodomo. La necessità di un rifugio spinse la gente a rimuovere le macerie di quelle case che sembravano meno colpite, benché pericolanti, ed a costruire intorno ad esse ripari improvvisati che permisero un iniziale ripopolamento del paese.
Cominciò così il periodo della rinascita, segnato da uno stato di grande precarietà: spesso un solo locale ospitava più famiglie, quando non si conviveva addirittura con il poco bestiame rimasto, unica risorsa certa in questa strenua lotta per la sopravvivenza. Non esistevano più i servizi primari, non esistevano le strade, non esisteva più nulla se non il caparbio bisogno di ritrovare la stabilità troppo a lungo desiderata.