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Introduzione

Ancora oggi, a 62 anni da quel terribile autunno del ’43, sono visibili nel nostro paese  le pesanti ferite infertegli  dalle truppe germaniche. E il ricordo  delle sofferenze patite è sempre vivo nei nostri anziani che di quegli eventi bellici furono testimoni diretti e indifesi.

Per ricostruire i fatti di quel triste periodo e preservarli dal probabile oblio, questa rubrica  si prefigge di interpellare gli anziani per raccogliere le loro testimonianze  sul periodo dell’occupazione tedesca del ‘43/44,  dall’arrivo dei primi soldati all’abbandono forzato delle case da parte della popolazione, ai soprusi, alle violenze, alla distruzione sistematica e totale del paese ed  agli eccidi di concittadini inermi perpetrati dai nazisti. Si tratta, dunque, di custodire la memoria di quel periodo e consegnarla alla storia della nostra comunità locale.

Noi crediamo che ciò sia un fatto dovuto e che riguardi tutta la comunità dei monteneresi : anziani e giovani, uomini e donne residenti in loco o emigrati.

Sabina Rossi (di panacce), Australia.

Da Montenero all'Argentina , all'Australia

Alla fine di Novembre del 1957, mamma, papà,,Anna, cioè la sorella più piccola, nata dopo la guerra, ed io emigrammo in Argentina, dove c'erano i i miei fratelli Enrico, con la moglie Filomena e Fedele. Andammo con la nave Andrea C. Ricorda che l'unica cosa che mangiai durante il viaggio fu insalata e arance, poiché soffrii del mare di mare, tanto che ero costretta a rimanere sempre sul terrazzo, dove non si sentiva l'odore del cibo.

Quando arrivammo a Buenos Aires, fui impressionata dalle case che erano tutte basse. Se avessi potuto sarei ritornata in Italia il giorno dopo.

Non mi piaceva niente: l'acqua, il caffè, ecc, ecc. Andammo a vivere a San Martin, un sobborgo della provincia di Buenos Aires, non tanto lontano della capitale, dove abitavano anche altri paesani (Nicola e Antonietta di spaccone, Menanzio Rossi, Domenica e Sabatino Di Francesco, Sofia e Antonio Calabrese). Si visitavano spesso i paesani.
Dopo di un certo tempo, mi sposai con un giovane di Montenero, il nipote di Antonio di Muschisco e di Rosalba. Faceva il sarto da uomo e donna e lavorava molto bene. Dopo nacque mia figlia Rosana, che tornò a Montenero nell'inverno del 1987. Nel 1991, morì mio marito. La sua morte fu – ed è ancora- un colpo molto forte per noi. Però bisogna sempre andare avanti. In seguito Rosana si mise in testa di venire in Australia dove abita mia sorella Rosa e la sua famiglia. E così arrivammo in Australia il 1° Gennaio del 2000. Per me è stata una seconda emigrazione. In Australia si sta bene e tutta la gente che conosco sta bene. E' il risultato del duro lavoro fatto negli anni. Tutti raccontano i sacrifici che hanno fatto i primi tempi. Poi piano, piano, ci si abitua a tutto. Però io credo che l'emigrante in qualsiasi parte vada non dimentichi mai la terra dov'è nato. Almeno questa è la mia esperienza e anche quella raccontata da tanti altri emigranti.

Tanti, tanti auguri per la buona riuscita di questo interessante progetto e per avere dato la possibilità a tutti i monteneresi, residenti o espatriati, di partecipare alla sua attuazione.
Sabina
Alla fine di Novembre del 1957, mamma, papà,,Anna, cioè la sorella più piccola, nata dopo la guerra, ed io emigrammo in Argentina, dove c'erano i i miei fratelli Enrico, con la moglie Filomena e Fedele. Andammo con la nave Andrea C. Ricorda che l'unica cosa che mangiai durante il viaggio fu insalata e arance, poiché soffrii del mare di mare, tanto che ero costretta a rimanere sempre sul terrazzo, dove non si sentiva l'odore del cibo.

D'Orazio Nicola (de valendein)

A 13 anni la mia prima esperienza lavorativa.
Partii per Napoli insieme a Donato (de mtild); alcuni parenti di Donato ci avevano trovato lavoro in una trattoria come lavapiatti.
Quel lavoro non era certo il sogno della mia vita, ma, purtroppo, non avevo altra scelta.
Restai a Napoli circa tre anni. Nel 1959 tornai a Montenerodomo consapevole, tuttavia, che presto sarei dovuto ripartire.
Numerosi compaesani erano partiti per la Germania. I fratelli Di Iorio, Tonino ed Ermanno, amici d'infanzia, partiti non molti anni prima, nei primi mesi del 1960 mi fecero sapere che erano riusciti a trovarmi un lavoro.
Non avendo svolto ancora il servizio militare, in poco tempo dovetti fare tutti i documenti per partire; dopo numerosi viaggi a Chieti finalmente riuscii ad avere il visto.
Il 3 maggio 1960 partii per la Germania, diretto a Winneden, un paese vicino Stoccarda.
Dopo essere stato sottoposto a tutte le visite mediche, potei firmare finalmente il contratto di lavoro in una fabbrica dove si costruivano accessori per auto.
Abitavo nelle baracche di legno insieme agli altri compaesani: Carmine (de giose), Antonio (de sessante), Rossi Giuseppe, i fratelli Di Iorio. Grazie ai loro consigli e al loro sostegno, riuscii in poco tempo ad ambientarmi.
La lingua era il vero problema; dopo aver riscosso le prime paghe iniziai a prendere lezioni di tedesco. Andavo da una signora che parlava molto bene l'italiano, che in seguito mi confidò di essere stata un' interprete della Wermacht (l'esercito tedesco).La signora conosceva bene l'Abruzzo e gli abruzzesi e in talune occasioni si divertiva a parlare il nostro dialetto.
Quando non andavo a lezione, la sera arrotondavo lo stipendio in un cinema come operatore cinematografico.
La paga era discreta, tuttavia il lavoro in fabbrica troppo ripetitivo non mi soddisfaceva.
Un giorno andai in un negozio di elettrodomestici per comprare una valvola per la radio di zio Antonio (de valendein).
Appassionato di radio e televisione, chiedevo spiegazioni e suggerimenti al proprietario del negozio che, stupito da tutte quelle domande che gli facevo, mi propose di rimanere lì come lavorante per 2,20 marchi ad ora: in fabbrica guadagnavo 2 marchi ad ora. Il giorno stesso accettai la proposta con molto entusiasmo. Quel lavoro mi piaceva; si operava dentro il laboratorio o si usciva fuori a montare le antenne sui tetti.
In poco tempo mi feci apprezzare dal nuovo padrone, il sig. Hjeman, al quale ero piaciuto da subito.
Dopo un anno il sig. Hyeman mi aiutò a prendere la patente, mi fece da garante per un prestito in banca e, agli inizi del 1964, comprai la mia prima macchina: una FIAT 1500 bianca, usata.
Nel 1969 fui raggiunto da mia moglie Concetta (de petrozz).
Sono rimasto in Germania 21 anni (nel 1967 feci una breve esperienza di 8 mesi in Australia sempre come tecnico radio- tv.).
Nel 1983 siamo tornati definitivamente a Montenerodomo.

(testimonianza raccolta da Angelo Piccoli)

Mariangela Rossi (d’unghiò) - Australia

Il mio viaggio verso l'Australia, 1961

Nel 1961 partii da Montenerodomo con i miei figli Riccardo (10 anni ) e Adele (8 anni) per raggiungere mio marito Alfonso in Australia dove era già emigrato. Da un paio d'anni Ci imbarcammo a Napoli sulla nave 'Sydney' della flotta Lauro, una nave che, con la sua gemella "Roma", assicurava ogni mese il collegamento con il porto di Sydney. Durante il viaggio facemmo scalo a Port Said (Egitto), Aden (Yemen), Bombay (India), Colombo, (Ceylon), quindi Fremantle e Melbourne (Australia).Alfonso nei due anni di permanenza in Australia, con il suo duro lavoro, era riuscito ad acquistare una casa a Sydney con un mutuo bancario e, quindi, poteva fare l'atto di chiamata per me i nostri figli. Così la famiglia poteva finalmente riunirsi.
La nostra nave lasciò il porto di Napoli il 29 agosto 1961. Da Montenero a Napoli il nostro viaggio fu organizzato dalla stessa agenzia che ci aveva fatto il biglietto per l'Australia. Viaggiammo con un pulmino insieme ad altri emigranti di Pizzoferrato. Il gruppo comprendeva Quinta D'Antonio e i suoi figli : Antonietta, Benito e Domenico, Filomena Rossi e suo figlio Antonio.
Sulla nave, nove essi condivisero con noi una cabina con 8 cuccette. Con noi c'erano Quinta, Antonietta, Benito e Domenico, Filomena e Antonio. Lungo il viaggio si poteva vedere il mare dagli oblò. Per tutto il viaggio io ed Adele soffrimmo di mal di mare. Un brutto ricordo ! Sulla nave c'arano spettacoli di intrattenimento per aiutare a passare il tempo : cantanti, balli e giochi vari. Adele ancora oggi ricorda la paura che ebbe durante uno di tali spettacoli fatto da un mago, il quale tirava fuori dal petto di una giovane il cuore !
A Port Said, Adele assaggiò per la prima volta una banana. Non le piacque affatto.
La nave 'Sydney' attraversò il canale di Suez, il Mar Rosso. Nel porto di Aden , ai passeggeri fu consentito di sbarcare per qualche ora ed io comperai dei cuscini decorati con cammelli. Il viaggio da Bombay a Perth durò 16 giorni. Riccardo e Adele ricordano ancora che fu detto loro di non sporgersi mai dalla balaustrada perché la loro testa era la parte di pesante del loro corpo e avrebbero potuto cadere in mare.
Durante il viaggio, un giorno Riccardo andò nella toilette e per lavarsi le mani. sfilò dal polso il suo orologio nuovo di zecca e l'appoggiato sul lavabo. Purtroppo, dimenticò di riprenderlo e quando ritornò nel bagno l'orologio non c'era più! Non l'abbiamo mai dimenticato.

Antonio Rossi (di quaquitte) - Australia

I miei tristi ricordi della guerra.

Era il 1943. Io avevo 14 anni. I tedeschi erano appena arrivati a Montenero. Una mattina uscivo dalla mia casa (Colle del Tasso) e due Tedeschi, su di una moto, mi fermarono e mi portarono nella loro baracca che era situata vicino la Fontana di San Vito e li mi misero a pelare le patate insieme con loro. Continuai in quel lavoro per cinque ore. Ero a digiuno e avevo una gran fame che non mi dimenticherò mai.

Quando la minaccia dei tedeschi si fece seria, ci fu lo sfollamento del paese e noi andammo ad abitare nella masseria di Onorato Rossi. Eravamo circa cinque famiglie, più i padroni di casa. Ricordo che una notte ci mettemmo a macinare il grano con le pietre: era un lavoro estenuante. Per racimolare un paio di chili di farina per ogni famiglia lavorammo tutta la notte. Poi all'alba arrivarono i tedeschi e si presero non solo la farina ma anche le tavole, le sedie, le teglie e diciotto sacchi di patate che dovemmo riempire noi stessi e poi trasportarli sulle nostre spalle (circa trenta-cinque chili per sacco). Era d'inverno e c'era tanta neve. Attraversammo il torrente Parello, continuammo oltre fino al bosco Pennapizzuto, dove i tedeschi stavano costruendo le loro baracche. Ci misero subito a lavorare con loro. Mentre lavoravamo il vecchio Onorato si allontanò (forse per un bisogno) e i tedeschi, dopo averlo raggiunto, lo presero a calci e lo riportarono in dietro. Dopo aver lavorato un'intera giornata e senza mangiare, ci riaccompagnarono alla nostra abitazione, dicendo che sarebbero tornati al mattino seguente e guai a chi non si fosse fatto trovare !

Fu cosi che durante la notte mia madre ed io ci spostammo e andammo ad abitare dalla famiglia D'Orazio Giustino dove oggi abita: Raffaele D'Antonio. C'era ancora tanta neve. Siccome non avevamo il sale mi diedero un paio di scii e mi misi alla ricerca di un pò di sale tra le masserie di selvoni. Trovai circa quattro chili di sale rosso (quello per gli animali). Solo quello avevano. Nevicava e c'era una nebbia fitta che a stento si vedeva la via. Sentivo al di sopra di me gli aerei che sparavano e all' improvviso un aereo cadde a meno di cinquanta metri da dove mi trovavo. Ero livido dalla paura. Improvvisamente il cielo si schiarì e vidi un altro aereo in fiamme. C'era un soldato che ardeva come una candela, un altro era ridotto in tanti pezzi. Al di sopra si vedevano altri quattro aerei che lottavano tra di loro come i galli nel pollaio. Dalla loro bandiera capii che erano aerei inglesi che inseguivano un aereo tedesco.

Dopo qualche tempo, quando i tedeschi si erano allontanati da quelle parti mia madre ed io ce ne andammo ad abitare con i miei nonni e zii a Montepidocchio. Si pensava che il peggio forse ormai passato, quando una sera arrivo da noi una pattuglia di soldati polacchi i quali chiesero al mio zio Giuseppe dove si trovavano i tedeschi. Mio zio indico loro il posto dove erano accampati i tedeschi, ma li consiglio di non andarci perché sarebbe stata la fine di tutti quanti loro incluso noi. Per quanto mio zio si sforzasse a dissuaderli, non vi riuscì. I polacchi erano tutti ubriachi e avevano un mulo carico di vodka. Partirono durante quella notte stessa. Due giorni dopo tornarono indietro il mulo ferito ed un soldato il quale essendo stato bastonato dai tedeschi era stato abbandonato, creduto morto.

Da allora i tedeschi cominciarono a tirare cannonate verso di noi, credendo che il nemico fosse dove eravamo noi. Io mi trovavo fuori con mio cugino Riccardo, quando incominciarono a fischiare le cannonate. Pensai subito di mettermi al riparo dietro il muro della casa ma mio cugino diceva che non era necessario perché le cannonate passavano al di sopra di noi. Insistetti con lui e fermo nella mia idea di correre al riparo, me ne andai dietro al muro. Proprio in quell'istante arrivo un proiettile, che taglio in due un albero situato all'angolo della cascina e le schegge uccisero sfortunatamente mio cugino Riccardo. Eravamo tutti storditi dai proiettili che arrivavano in continuazione. Ognuno scappava senza sapere dove si trovassero gli altri. Mentre correvamo verso la Civita vidi due uomini che portavano Pasquale (Ciangiuolo). Il quale era stato ferito dalla schegge dallo stesso albero che erano volate a trenta-cinque metri di distanza e gli avevano spaccato una gamba. Più in la c'era un uomo seduto con un bambino tra le braccia. Qualcuno lo chiamo dicendo: "Pompilio, andiamo!" Ma lui era morto e suo figlio era salvo. Un vero miracolo!

Venne la fine della guerra con grande sollievo da parte di noi sopravvissuti, i quali anche se dobbiamo considerarci fortunati per la nostra sopravvivenza ne abbiamo sentito i disagi e le conseguenze per tanti anni dopo. Ricostruirci una vita ricominciando da zero e senza un soldo, é stato per noi tutti Monteneresi una prova di tanti anni di sacrifici.

Dopo aver passato gli anni più duri del dopoguerra, nel 1955 Io sono emigrato in Australia, come pure tanti altri Monteneresi sono emigrati in Canada, America ed a altre nazioni Europee.

Tony D’ANTONIO (de quarchiaune) Australia

Una breve sintesi della mia vita di emigrante e imprenditore.

Sono nato il 17 giugno 1961 nella casa di famiglia a Montenerodomo (CH), Italia. I miei genitori sono Pietro D'Antonio e Maria Melania D'Orazio. Ricordo ancora quando, piccolo, giocavo davanti alla mia casa situata nel rione San Martino o quando mi divertivo con gli animali che stavano nella stalla che stava sotto la nostra abitazione, al piano terra della casa. E ricordo anche quando andavo in campagna con mio padre e mia sorella Assunta.
La nostra famiglia (i miei genitori, io, le mie sorelle Francesca, Assunta e Fernanda) emigrò negli USA a Canton ,Ohio , quando avevo 5 anni nel 1967 e nel 1970 aumentò di due unità poiché nacquero David e Rosemary, gemelli.
Quando a 6 anni andai a scuola, solo pochi mesi dopo il nostro arrivo in America, non ricordo di aver avuto difficoltà con la lingua inglese e i miei insegnanti dicevano che avevo anche un buon accento.
Frequentai la locale scuola elementare della St.Benedict School e successivamente la Hartford Junior High School, poiché volevo giocare a football con la squadra di tale scuola Ero uno studente normale, senza problemi. In seguito frequentai la McKinley Senior High School e quindi mi iscrissi all'Università (Akron University & Stark Technical College – Akron/Canton- Ohio), dove conseguii la laurea in Business Administration & Management. Durante il periodo dei miei studi secondari ed universitari, lavoravo 35 ore settimanali presso un negozio di ferramenta, e il mio lavoro consisteva nello scaricare e prezzare la merce in arrivo. Non potevo mai immaginare che questo lavoro part time mi avrebbe dato una base per la conoscenza di tale industria e fatto acquisire un'esperienza inestimabile per la mia carriera e più tardi per la mia futura.
Nel 1980, quando frequentavo l'Università, mio padre decise di visitare, con tutta la famiglia, la sua mamma, i fratelli e la sorella che erano emigrati in Australia ed abitavano a Adelaide. Mi innamorai subito di quella terra. Mi piaceva il clima,la natura, la gente, la cultura e tante altre cose e promisi a me stesso di fare tutto il possibile per andare a vivere lì. Mio padre fu sorpreso e sconvolto quando sentì che volevo lasciare gli USA per andare in Australia. Ma determinato nella mia scelta mi informai delle procedure di emigrazione e fui scoraggiato nell'apprendere che emigrare in Australia era molto difficile e che occorrevano 6 anni e molte pratiche burocratiche prima di poter avere lo status di residente. Ciò non mi fermò. Seguii le procedure necessarie di immigrazione.
Così, nel 1987, esattamente dopo venti anni dall'emigrazione dall'Italia verso gli USA, io emigrai in Australia, ad Adelaide dove raggiunsi mia nonna, i miei zii e zie e i miei numerosi cugini. Qualche mese dopo il mio arrivo, fui assunto da una ditta chiamata Black&Decker come rappresentante per le vendite nella città di Adelaide e di tutto lo Stato, un territorio che mi portava a fare lunghi viaggi di oltre 700 Km. Mentre lavoravo presso Black&Decker in Adelaide, nel 1988 , incontrai un vecchio amico che avevo conosciuto anni prima quando era impiegato presso l'Ufficio australiano dell'immigrazione. Insieme decidemmo, quasi per divertimento, di affittare un locale e aprire un ristorante stile americano in una zona centrale della città di Adelaide. Chiamammo il ristorante "Bourbon Street Diner", in cui si serviva birra americana, vino, whisky e pranzi tipicamente americani. Ricordo che lavoravo ogni giorno fino alle 3 di notte per poi alzarmi alle 7 ed andare a lavorare presso Black & Decker.
Nel 1989, poco dopo l'apertura del ristorante, ricevetti una promozione da Black & Decker, promozione che prevedeva il mio trasferimento presso il Quartiere Generale della ditta a Melbourne. Decisi di andarvi. Così vendetti al mio socio la mia quota del 50% del ristorante ed egli continuò nel suo lavoro. A Melbourne, con Black & Decker, ricoprii più funzioni e ruoli (State Manager, Market Developement Manager, National Sales Manager) che mi portarono a viaggiare in tutta l'Australia, negli USA, in Nuova Zelanda e in Asia, gestendo gruppi di persone e promuovendo un'efficace integrazione e cooperazione di varie ditte tra le quali Black & Decker emerse come leader durante il periodo del mio lavoro, risultato che mi portò ad essere designato come membro del National Account Management prima di lasciare la ditta e per avviare una mia propria attività nello stesso settore. Fu in quel periodo, nel 1993, che mi sposai con Grace Lalli, i cui genitori sono anch'essi di Montenerodomo (Nicola e Rosa Tamburrino, conosciuti, naturalmente, dai miei genitori e da tutta la mia famiglia in Italia e Australia). Nel 1999, nacque nostra figlia Isabella, una bellissima bambina.
Così, dopo anni di lavoro e di ruoli svolti alle dipendenze di Black & Decker, avevo deciso di lasciare un posto di prestigio e ben retribuito per un lavoro proprio che non escludeva rischi. Insieme ad un socio australiano che aveva lavorato nella stessa Black & Decker decidemmo, nel 1997, di creare la nostra propria ditta GMC (Global Machinery Company). Ho sempre sentito il bisogno di controllare il mio destino, avere la mia propria attività, e non lavorare più per un altro, per un capo, fermo restando che se non fossero andati bene gli affari, avrei dovuto ritornare a lavorare alle dipendenze di altri.
I primi due anni furono molto duri senza la certezza di un sicuro e solido stipendio ed altri vantaggi garantiti da una grande compagnia americana, dovendo affrontare da soli i vari aspetti del nostro lavoro. Ma percepimmo subito che ce l'avremmo fatta fiduciosi nella nostra solida esperienza acquisita in tanti anni di lavoro con Black & Decker. Infatti, ricevemmo subito la fiducia del mercato e di molti clienti che avevamo conosciuto prima. In più, avevamo allacciato buoni rapporti di lavoro in Cina dove incominciammo ad esportare molti nostri prodotti. Fui anche fortunato di viaggiare in Italia e stabilire buoni rapporti di lavoro con molte industrie venete di Treviso, Verona, Vicenza, che ancora oggi producono saldatrici elettriche, falciatrici, tosaerba, motoseghe, idropulitrici, ecc... per il nostro marchio GMC. La nostra compagnia si affermò subito sul mercato in Australia prima e dopo anche in America, Europa, & Asia, facendo anche concorrenza al nostro vecchio datore di lavoro B&D e ad altre industrie. Molti clienti ed industrie ci diedero credito per la nostra crescita e per il design e l'innovazione dei nostri prodotti. Per questo, nel 2005, la più grande ditta di contabilità Ernst&Young, ci nominò per una competizione chiamata "Entrepreneaur of the Year Award", che coinvolgeva molte altre ditte australiane. Vincemmo il primo premio per la nostra regione di Australia. Successivamente, partecipammo alla competizione a livello nazionale che si svolse nella città di Sydney dove ci classificammo al primo posto. In tal modo ci ritrovammo a rappresentare l'Australia alla competizione internazionale che si svolse a Montecarlo il 10 giugno scorso per la nomina dell' "Imprenditore del mondo dell'anno 2006".
Mentre i nostri prodotti si affermavano progressivamente sul mercato italiano, girando l'Italia per lavoro, incominciai a riscoprire la mia terra natia, le mie origini, le mie radici, un sentimento profondo che mi faceva sentire di essere a casa mia, a mio agio. Mosso da questi sentimenti, decisi di comperare una proprietà o una villa in Italia dove stare quando sono in Italia per lavoro o trascorrervi insieme alla mia famiglia le vacanze o periodi anche più lunghi. Mi misi subito alla ricerca di una proprietà in vendita in varie regioni d'Italia, in particolare nel Veneto, in Toscana, nelle Marche, in Umbria e in Abruzzo.
In marzo 2004, trovai su Internet un vecchio castello in vendita in Abruzzo, a 10 minuti dalla spiaggia dorata di Francavilla al Mare, a 30 minuti dalla Maiella (Blockhaus m.1.400 sul livello del mare), ed a circa un'ora dal mio paese natio, Montenerodomo. L'idea di una proprietà con tali caratteristiche mi piacque subito. Mi informai e decisi di fare un sopraluogo. Si trattava di un Castello del 16° secolo, nel passato abitato da una nobile famiglia abruzzese, allora proprietaria di gran parte della campagna di Ripa Teatina (CH) , il paese nel cui territorio è situato il Castello.
Il Castello sorge su una collina in mezzo a vigneti e uliveti e gode di una vista ampia e incantevole che spazia sulla montagna e dispone di vari ed ampi locali: sale per ricevimenti, servizi di ogni genere, la cantina ed anche una cappella ancora consacrata, dove è possibile celebrare la S. Messa, Battesimi e Matrimoni. Inoltre, la proprietà comprende bei giardini tutto intorno al Castello ed un vigneto. Nella vendita dell'immobile era compreso anche un ristorante " La casa di Filippo", gestito da un ristoratore molto noto nella zona e in tutto l'Abruzzo. Il Castello è un punto di riferimento noto per i banchetti per i matrimoni, i battesimi, le comunioni, le cresime e per le altre feste, quali il Natale, San Valentino, compleanni, ecc....- Un progetto, dunque, molto interessante. Con l'accordo anche di mio padre Pietro, di mio fratello David e di tutta la famiglia, e con l'assistenza del mio socio in affari Mario Peretti, decisi di comperare tale proprietà.
In ottobre 2005, entrai in possesso del Castello. Ne prese la gestione mio fratello David che lasciò il suo posto di lavoro negli USA e si trasferì in Abruzzo. David pensa di ristrutturare, quanto prima, tutto l'immobile: la scuderia,la parte antica, la cantina e di costruire anche una piscina, al fine di potenziare gli affari, aggiungendo anche un servizio di bed & braekfast. L'insieme della proprietà che abbiamo rinominata "Il Castello d'Abruzzo" fu inaugurata ufficialmente il 22 aprile 2006 con la benedizione del parroco e il saluto del Sindaco di Ripa Teatina e di altre autorità locali tra cui il Sindaco di Francavilla al Mare, parenti, amici e compaesani venuti appositamente da Vasto e da Montenerodomo.

Rosa Gentile (Australia)

(figlia di Maria di "Panacce" e di Francesco "d'Unghio"

Avevo 15 anni quando la guerra arrivò a Montenero. Andammo ad abitare in masseria perché i tedeschi avevano fatto saltare con le mine tutto il paese ed anche la nostra casa. Quando tornammo a Montenerodomo mi ammalai di tifo. Sembrava che fosse arrivata l'ora di morire. Ma un soldato americano diede certe pastiglie a mia mamma e la febbre cominciò a scendere e guarii. Poco tempo dopo, mio padre tornò dall'Inghilterra dove era stato prigioniero. Prima di arrivare a Montenero, si fermò a Bari , perché i miei fratelli Enrico e Fedele erano li. Lì, c'era anche il mio fidanzato, Domenico Gentile. Domenico approfittò dell'occasione e disse a mio padre che lui era il mio "sposo". Siccome i miei genitori non volevano che io sposassi Domenico, quando lui tornò da Bari, ci mettemmo d'accordo e scappammo. Andammo ad abitare alla casa di Norina e Cosimo di Nicomé (a San Vito), cugino di Domenico. Dopo di 3 mesi ci eravamo sposati, e abitavamo con i nostri suoceri. Li sono nati i miei primi due figli, Carlo e Maria, battezzati da la comare Filomena di Mastantonje e il compare Antonio di Muschitt.

Siccome dopo la Guerra non c'era lavoro nel paese, Domenico andò a lavorare per un certo tempo alle miniere in Belgio assieme a mio fratello Michele. Per fortuna decisero di tornare prima che la miniera dove lavoravano crollasse. Questo ci ha fatto capire che per noi, l'unica soluzione per avere una vita migliore era emigrare. Pietro Carozza ci ha fatto le carte per venire in Australia. Domenico partì per l'Australia nel 1955, con la nave Castel Felice, ed io lo raggiunsi 3 anni dopo assieme ai miei due figli Carlo e Maria, con la nave Oceania. Quando arrivammo al porto di Fremantle, nel Western Australia, nessuno ci era venuto a prenderci. Carlo diceva: "Ma, dobbiamo tornare alla Portella perché papà non viene". Finalmente, Domenico, mio marito, arrivò tutto affannato ci portò alla nostra casa. (Non era fatto in tempo perché era rimasto a pitturare la casa, come facevano tutti i giorni dopo il lavoro). Quella sera organizzò un ricevimento per tutti i paesani che c'erano a Fremente. Per guadagnare un po' di più Domenico se ne andò a lavorare a Darwin, al nord del Western Australia, un posto con un clima tropicale. Lui raccontava che faceva tanto caldo, specialmente la notte, che le lenzuola erano cosi bagnati come se qualcuno l'avesse lavati.

Un giorno uno bussò alla porta della mia casa e quando andai ad aprire non capivo chi era quella persona. Lui disse: "Come, sono il padrone di questa casa e non mi riconosci? Era Domenico, mio marito, che era diventato cosi magro, cotto dal sole, che sembrava tutta un'altra persona.
Piano, piano, con tanto sacrificio, abbiamo fatto la prima nostra casetta. I miei figli si sono sistemati. Nel "66, nacque il mio terzo figlio, Franco. Ora tutti i miei figli e nipoti stanno bene, sempre abbiamo vissuto in pace e uniti, peccato che mio marito e mio figlio Carlo no ci sono più.
Oramai la nostra terra è l'Australia, ma pensiamo sempre all'Italia. Ho avuto la fortuna di tornare in Italia sette volte, cinque con mio marito e due da sola. Sempre siamo stati assieme con i paesani. Quando eravamo più giovani facevamo delle belle feste e riunioni. Ora, forse non ci sono tante feste, ma ci vediamo spesso.
Io ho sempre mantenuto le tradizioni di Montenerodomo e dell'Italia tanto nel mangiare come nel avere la famiglia unita. Dopo 48 anni di vita in Australia posso dire che ancora sono una "donna di Montenerodomo".

Nicola Rossi (Canada)

A tutti, buongiorno
Il microfono mi emoziona, ma mi faccio coraggio e vado avanti.
Vi presento un pezzo della mia vita dalla guerra (1943) in poi.

Subito dopo la guerra (1945) io e la mia famiglia ricostruimmo la casa e vi rientrammo dallo sfollamento. Mi sposai con Domenica nel 1950 e nel 1951 arrivò la nostra prima figlia. A quel punto incominciai a pensare al futuro che a Montenero non vedevo.C'erano solo le macerie e tanta povertà.
Dal Governo canadese arrivò una richiesta di mano di operai da utilizzare nell'agricoltura. Io feci la domanda che mi venne accolta.Partii per il Canada il 16 giugno del 1951 e 18 mesi dopo mi raggiunsero mia moglie e mia figlia. Rimasi a lavorare in agricoltura solo 4 mesi.Poi trovai un lavoro in una industria meglio retribuito. Capii subito che per migliorare le mie condizioni di lavoro dovevo fare due cose: frequentare una scuola professionale e imparare la lingua inglese. Così di notte lavoravo in una panetteria e di giorno frequentavo una scuola per tornitore e dei corsi di lingua inglese, poiché un emigrante che non conosce la lingua del luogo dove vive non ha grandi opportunità.

Con tanta fortuna, dopo un anno trovai un lavoro come tornitore presso una ditta che fabbricava (e fabbrica ancora) motori per aerei. Lì in quella fabbrica ci sono rimasto per 37 anni fino all'età della pensione. Ma durante tutti gli anni della mia permanenza in quella fabbrica pensavo come migliorare il mio mestiere di tornitore, lavoro che mi piaceva molto. Decisi di frequentare altri corsi. Frequentai un corso di disegno ed uno di matematica, entrambi necessari per raggiungere i miei obiettivi, cosa che avvenne.

Nel frattempo, constatavo che le soddisfazioni che ricavavo dal mio lavoro non erano sufficienti per essere pienamente contento. Sentivo tanta nostalgia per il mio paese d'origine. Csì cominciai a pensare a cosa fare per non perdere le mie radici. Insieme ad altri monteneresi decidemmo di creare un'associazione di monteneresi, senza scopo di lucro. Oggi tale associazione conta 125 famiglie e un numero complessivo di circa 400 persone.

Ogni anno tale associazione organizza 3 feste. Si tratta di vere e proprie riunioni plenarie: il 2 luglio andiamo tutti in campagna. Mangiamo e beviamo a volontà ed è tutto gratis; a settembre organizziamo una festa in onore del nostro patrono, San Fedele ed infine a carnevale organizziamo una festa popolare per raccogliere fondi per la vita e il funzionamento della nostra associazione. Oltre alle feste, abbiamo anche una squadra di calcio che si chiama "Superga" che ricorda la chiesa e il nome della gloriosa la squadra di calcio del Torino tragicamente scomparsa nell'incidente del 1947. La nostra squadra esiste ormai dal 1960 ed ha vinto tanti campionati e coppe a Montreal.

Da sempre il mio desiderio era di tornare a Montenerodomo sui miei colli e tra la mia gente. Ci sono riuscito. Oggi sono soddisfatto e felicicissimo di aver realizzato il mio sogno insieme a mia moglie.

(Testimonianza di Nicola presentata da lui stesso al Convegno di studio del 3 agosto 2006)

Anna Rossi (Australia)

daughter of Spinalba and Nicola D'Antonio, from Montenerodomo.

I had an uncle who migrated to Australia after the first world war. When he first arrived in Australia, he had work but he didn't make a lot of money. It was also the time of the Great Depression and life was difficult for all Australians. Each week when he went to buy food from the corner shop, he never had enough money to pay for it all. So he would go to buy bread and milk and the shopkeeper would say, 'Never mind, one day you will pay...' and added the items to a growing list. This happened for three or four years.

Then my uncle decided he would have to do more so, along with six other Italians, he went to Kalgoorlie to the gold mines. No-one knows quite what they found but whatever it was it was shared equally among the seven of them.

It must have been a large amount because the owner of a bus company approached my uncle to see if he wanted to buy a half share in the company. Instead he bought two houses, one in South Terrace that was two storeys high and had a shop that he rented out, and a smaller one where he and his wife lived because he was a simple man with simple tastes. My uncle paid the man who owned the corner shop and he lived off the money from his properties and what was in the bank for the rest of his life. But he was a generous man and sponsored many of his nephews and nieces to come out to Australia: maybe thirty of them.

As well, everyone from Montenerodomo and Pizzaferrato who came to Australia by boat got to eat at his home. Even the ones who got off the ship in Fremantle (Perth) for just six or seven hours were picked up at the port and taken to my uncle's home for a meal. There they would find a huge spread of meat and pasta, salad, vegetables, fruit, cakes, wine and beer...as much as you could eat. It also gave his paesane a chance to catch up with the people who had migrated before them.

My uncle also had many trips back to Italy.

During the second world war, like all Italians in Australia, my uncle was locked up in a camp and he said it was terrible: cramped and there was very little food.

Testimonianza di Anna Rossi

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