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L'Emigrazione dopo la seconda guerra mondiale

 Coloro che hanno scelto la via delle miniere non hanno avuto un'esperienza meno sacrificata rispetto a quanto già occorso ai compaesani che li hanno preceduti in quegli stessi luoghi di lavoro. Prima di partire dovevano assicurarsi un contratto di lavoro (da esercitare all'estero) e solo dopo aver superato le visite mediche del caso potevano intraprendere il viaggio. Arrivati a destinazione venivano sottoposti ad ulteriori visite molto accurate e, se le condizioni di salute risultavano buone come riportato negli appositi "carnet sanitarie", si aveva il diritto definitivo al sospirato posto di lavoro. Purtroppo tali controlli venivano effettuati solo all'andata, poiché al ritorno nessuno si preoccupava se le condizioni fisiche erano peggiorate, come se non si avesse a che fare con esseri umani, ma con strumenti utilizzati esclusivamente per il lavoro lavoro.

La dignità umana finiva nel momento in cui veniva preso il treno, non più aria pulita, lavoro collettivo nei campi tra la fatica e l'allegria, ma solo giornate spente, in una baracca condivisa con altri uomini spesso sconosciuti, senza acqua e nessuna comodità con un orario di lavoro di otto ore al giorno, distribuito su due turni; e un guadagno relazionato alla produzione effettiva di carbone.

Da testimonianze più o meno dirette, si riporta che scendevano a più di 1000 metri sotto il suolo con un apposito ascensore e ognuno si preoccupava di scavare una galleria, senza che la propria salute fosse tutelata.
Quando nel 1956 è avvenuta la tragedia di Marcinelle (Belgio), alcuni monteneresi hanno assistito al doloroso evento, ma grazie al cielo, nessuno lavorava in quel turno.

In seguito alla dura esperienza della miniera, molti nostri compaesani si sono orientati verso la Svizzera e la Germania, dove i settori maggiormente occupati sono stati quello edilizio ed industriale. Minore ma sempre presente il flusso verso i Paesi Transoceanici quali il Canada e l'Australia, che si avviavano ad un processo di urbanizzazione e popolamento.

In tutti i casi, l'emancipazione femminile ha permesso anche alle donne di trovare impiego. Questo ha significato un punto di non ritorno per il nostro paese, in quanto numerose famiglie sono partite e si sono stabilite definitivamente all'estero.

Dalle esperienze raccolte si evince che le persone prima di emigrare immaginavano l'America come il "Paese dei Balocchi", dove, con un lavoro garantito sarebbero stati liberi e ricchi; ma giunti a destinazione l'impatto risultava difficoltoso. Malgrado la dignità di queste famiglie che pur non avendo niente, portavano con loro la volontà di fare bella figura, e braccia per lavorare, non sempre sono stati ben accetti dagli indigeni. Oltre ad umilianti atteggiamenti razzisti, la lingua rappresentava il primo ostacolo, tant'è che alcune persone ammettono di non averla potuto imparare perché "si doveva pensare a fare soldi non a studiare". Spesse volte, erano trattati inoltre erano costretti ad abitare in luoghi isolati e solo nei giorni festivi era possibile ritrovarsi con i compaesani. Tuttavia, non era possibile tornare indietro, sia perché già avevano contratto il debito per emigrare e trovare altri soldi per tornare a casa, che per l'orgoglio a non essere considerati dei falliti.

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