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L'Emigrazione da Montenerodomo

La storia dell'emigrazione da Montenerodomo è stata influenzata dalle vicende sviluppatesi nelle aree interne del nostro Meridione, accomunate da caratteristiche orografiche e sociali non proprio favorevoli ad uno sviluppo locale autonomo.

Il flusso migratorio che ha interessato il nostro paese ha profonde radici nella storia e nel tempo, anche se il suo filo conduttore è da ricondurre ad un'unica parola: "povertà", ossia al disagio economico e sociale generale cui neanche il "Nuovo Regno d'Italia" era riuscito a porre rimedio
Periodo pre unitario fino alla seconda guerra mondiale

Ripercorrendo le varie fasi dell'emigrazione, già a partire dalla metà dell'800 si avvia una forma embrionale di emigra zione, detta "stagionale", caratterizzata da più o meno brevi intervalli di tempo e generalmente verso in regioni non eccessivamente distanti dal luogo di residenza

Dopo il 1870 il fenomeno inizia ad assumere profili più definiti. L'Unità d'Italia, non accompagnata da politiche sociali ed economiche in grado di soddisfare le esigenze dei più, genera nel Sud Italia un forte disagio ed un diffuso malcontento, che pose buona parte della popolazione di fronte ad una dura scelta: aderire alle bande sovversive (briganti) che spadroneggiavano in gran parte del territorio o trasferirsi altrove "in cerca di pane".

Molti monteneresi scelsero la seconda via, individuando come meta preferita i paesi transoceanici, favorita dall'avvento del motore a vapore, che permetteva di accorciare notevolmente i tempi ed i costi di viaggio e che dava garanzia di un sicuro "posto" di lavoro.

Purtroppo, negli archivi del nostro paese, manca una documentazione accurata sull'emigrazione che caratterizzò il periodo antecedente la seconda guerra mondiale. Tuttavia testimonianze interessanti ci sono giunte sia dai racconti dei nostri emigranti, sia da quanto riportato in alcune liste d'imbarco pubblicate su siti web di accertata credibilità.

Attraverso fonti e testimonianze di vario genere, è stato possibile fare una ricostruzione attendibile del fenomeno migratorio che ha visto come protagonisti i nostri compaesani: è sorprendente notare come quello che può sembrare un caso particolare o unico, rappresenti la mera consuetudine vissuta dai nostri primi emigrati.

Spesso coloro che partivano erano analfabeti, per cui, per intraprendere il viaggio, dovevano affidarsi a persone più istruite che risiedevano nei paesi vicini ( Torricella Peligna, Sulmona, Castel di Sangro,...), che provvedevano ad espletare le varie pratiche di rito. Agenti che, a volte, erano anche esosi per chi si apprestava a partire con il peso di debiti. Con l'agognato biglietto, gli emigranti si dirigevano verso il porto più vicino (solitamente Napoli) e, dopo aver sbrigato le ultime pratiche burocratiche ed effettuate le visite mediche, potevano accedere al piroscafo. Il viaggio rappresentava un vero dramma per i nostri emigranti che, fino allora, erano vissuti lavorando nei campi.

Una descrizione dettagliata e drammaticamente reale di questa obbligatoria tappa è riportata in un'analisi di M. Polo (anno 1974): "... gli emigranti, come merce d'esportazione, come partite di arance: una parte arriva buona, una parte guasta. Una parte non arriva affatto. La traversata dell'oceano è un calvario. Il viaggio è lungo, duro, massacrante: in mare per settimane su un piroscafo vecchio, malandato. Ammassati sui ponti, nelle stive, gli uni sugli altri come animali, senza cuccette, questi disgraziati sopportavano tutto: il pianto dei bambini, i lamenti degli ammalati, le bestemmie degli uomini, le preghiere delle donne; i casi più dolorosi, gli ammalati, i veri ammalati, molti dei quali non arriveranno a sbarcare: le salme gettate nelle acque dell'oceano impietoso e indifferente."

Dalle liste d'imbarco custodite negli archivi del porto di Ellis Island (USA), risulta che i monteneresi partivano in gruppi, in grande prevalenza uomini, e che le medesime generalità anagrafiche si ripetevano in diversi e successivi viaggi: ciò sta a significare che la permanenza era solitamente breve, tale da far etichettare i nostri emigrati come "birds of passage" o "golondrinas".

Vi sono casi in cui alcuni emigranti presero la nave anche 5 - 6 volte per poi scegliere di stabilirsi definitivamente a Montenerodomo. Altri, invece, non sono più tornati... ma hanno trasmesso a figli e soprattutto a nipoti e pronipoti un sì forte ricordo della terra natia da suscitare, nelle ultime generazioni, il desiderio di tornare per conoscere i luoghi delle loro radici ed origine.

Il forte legame alla madrepatria dei nostri emigranti si avverte nella conservazione delle usanze del proprio paese, nella cucina e soprattutto nel dialetto. Un legame sopravvissuto anche a tante difficoltà di ordine linguistico, culturale e, a volte, anche xenofobo.

Quasi sempre i nostri primi emigranti erano persone senza alcuna qualifica. Erano braccianti, manovali, piccoli agricoltori mezzadri, pastori e raramente qualche artigiano che cercava fortuna all'estero. Il loro reclutamento non avveniva sulla base di un contratto di lavoro, per cui erano costretti, nella terra di approdo, a svolgere lavori umili e pesanti, spesso rifiutati dagli autoctoni. Il tenore di vita era molto basso, solo sacrifici..., e l'esperienza di lavoro si traduceva in uno "sweating sistem", ossia, orario massimo, salario minimo. Per tutta la durata della permanenza all'estero si limitavano a scrivere qualche lettera alla famiglia, che in Italia continuava comunque a lavorare nei campi e ad educare i figli.

In merito alle rimesse, bisogna fare una distinzione tra quelle "visibili" (documentate da vaglia o qualsiasi altro canale finanziario) e quelle "invisibili" (che non avevano seguito la strada ufficiale). Nel caso di Montenerodomo, si può dire che la seconda via era la preferita. Il contadino che rimpatriava portando con sé i sudati risparmi, doveva innanzitutto preoccuparsi di pagare i debiti contratti per sostenere il viaggio. Altro investimento, quasi obbligatorio, era l'acquisto di un pezzo di terra per non essere più assoggettato alla mezzadria. La casa costituiva l'altro bene da sempre auspicato: così al tugurio si sostituiva un'abitazione più confortevole, tant'è che per le fattezze insolite e/o moderne veniva chiamata "casa degli americani". Anche le condizioni di vita quotidiana miglioravano e l'alimentazione era più sana e più varia, l'igiene più accurata. Si può sostenere che l'emigrazione era una necessità per uscire dalla dura miseria e che in moltissimi casi ha fatto progredire sensibilmente la comunità montenerese.

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