Con l'avvento della "pax romana" il popolo carecino fu costretto ad abbandonare ed a smantellare i centri fortificati costruiti sulle alture, cosicchè dall'oppidum di Montenerodomo dovettero scenderne gli abitanti che, in un luogo più aperto e meno impervio, diedero vita all'abitato di Juvanum.
Il santuario sannitico, infatti, non venne smantellato, come invece successe altrove, anzi, nel pianoro sottostante, probabilmente già adibito in epoca precedente a fiere e mercati, vennero costruiti prima edifici utilitaristici e pubblici a servizio del territorio e della popolazione limitrofa, e, quindi, nel I secolo d. C., dopo l'elevazione del piccolo centro montano a "Municipio", l'intera area fu trasformata con la costruzione del complesso monumentale le cui vestigia sono giunte fino ai nostri giorni.
E' ignota la volontà politica che generò tanto fervore edilizio e, conseguentemente, l'impiego di ingenti mezzi finanziari.
Roma, probabilmente, ravvisò nel santuario iuvanense un'area di notevole importanza economica e l'impianto di una struttura urbana municipale, oltre a permetterne il controllo nonché lo sfruttamento (attività legate alla transumanza, produzione di legname, ceramica, vetri, laterizi), poteva anche fungere da centro di riferimento amministrativo per tutta la popolazione del comprensorio.
Il complesso monumentale, di cui si è detto, era costituito da una grandissima piazza rettangolare (m. 62x27,50) delimitata da portici e adorna di statue, circondata su tre lati da una serie di botteghe (le "tabernae") e dominata a nord da un grande edificio absidato con pavimento marmoreo. Era questa la Basilica, l'edificio pubblico più importante della città, sede degli amministratori del Municipio (quattro magistrati di cui due, i "quattuorviri iure dicundo", si occupavano dell'aspetto legislativo-giudiziario, e due, gli "aediles", preposti alle opere pubbliche e all'amministrazione ordinaria del Municipio), dell'amministrazione della giustizia, del culto imperiale degli "Augustales" e del disbrigo degli affari. La Basilica era ancora in piedi nel 1792 quando Michele Torcia, visitando questi luoghi, riferiva che: "...a Santa Maria del Palazzo tra l'aspro paese di Montenigro d'Omo e il paesetto di Fallascoso è un bell'edifizio romano che pare essere stato Dogana de' Vettigali sulla pastorizia. L'area di tal edifizio con portico a mezzogiorno è quadrilunga di circa 50 passi a colpo d'occhio sul lato maggiore..." (M. Torcia, Analisi ragionata de' libri nuovi, Napoli, 1792).
La piazza (il "Foro") fu interamente lastricata con basoli di calcare rettangolari a spese di G. Erennio Capitone, personaggio teatino che fu Procuratore di Livia, Tiberio e Caligola in Giudea, così come ricordato nell'epigrafe pavimentale scritta con lettere bronzee, su tre file di lastroni, al centro della piazza, che, rielaborata da G. Iaculli (Juvanum, atti del Convegno di studi, Chieti, 1983), doveva essere la seguente:
(C . H) ERE (NNIUS . ARN .) CAP(ITO_ _ _ _ ) Q . II FLAMEN TR(ibunus) . (M) IL (itum) IIII . PRAEF(ectus) CO(hortis) ///
. . . . F( _ _ _ _ _ ) A ( _ ) PR ( _ _ _ _ _ _ _ ) CTUM ( _ _ _ _ ) OMNIA ( _ _ _ _ ) A . INCH (O) AVIT . HERE (NN) IA . PRO ///
IECTA ( _ _ _ _ _ ) O ( _ ) EX T(estamento) . PQR ST( E )R(N) ENDUM . C( URA )VI ( T ) ///
"Caio Erennio Capitone della tribù Arniense, quinquennale per due volte, sacerdote flamine, tribuno militare per quattro volte, prefetto della Coorte ... iniziò l'opera. Erennia Proiecta ... secondo la sua volontà testamentaria, PQR, si curò di pavimentare".
All'impianto forense si accedeva attraverso alcune strade lastricate: la Via Orientale (il "cardo maximus") che costeggiava il Foro con direzione NO-SE, la Via di Bacco (il "decumanus") che intersecava il cardo provenendo da est, dove era situato il quartiere abitativo, e la Via del Foro che penetrava nel portico sud della grande piazza. Il complesso monumentale era completato da due fontane pubbliche entrambe adiacenti la Via Orientale, di cui una veramente imponente edificata a sud-est del Foro con accesso dalla suddetta via.
Conosciamo i nomi delle principali "gentes" iuvanensi (Floria, Mettia, Olidia, Poppedia, Rellia, Tadia, Titadia), nessuna delle quali ebbe propri esponenti nel Senato romano. Abbiamo, invece, menzione di iuvanensi approdati al ceto equestre. Oltre a Caio Erennio Capitone, M. Titatius Celer, Gneo Poppedio Massimo e un esponente dei Novii Probi ed Aufazii Firmi, le due famiglie iuvanensi emergenti del I secolo d. C., unite tra loro da legami matrimoniali.
Juvanum ebbe continuità di vita attestata fino al IV secolo d. C. e il materiale archeologico rinvenuto testimonia un livello di vita molto alto, soprattutto per i primi due secoli.
Il terremoto che sconvolse il Sannio nel 346 d. C. colpì duramente anche questa città tanto che Fabio Massimo, governatore della Provincia dal 352 al 357 d. C., si preoccupò di restaurarne le mura, costruendovi, inoltre, un "secretarium". In quel periodo l'economia era dunque ancora fiorente al punto che, per la gran mole di affari, la Basilica era diventata troppo angusta. Di conseguenza, si era reso necessario trattare le udienze in un altro luogo ad essa attiguo.
Con la caduta dell'Impero Romano d'Occidente, la città, indifendibile dalle orde barbariche, venne abbandonata e, successivamente, predata e distrutta.
Il sito di Juvanum, sporadicamente abitato dopo il IV secolo (è di recente il rinvenimento di una tomba longobarda databile tra il VII e l'VIII secolo), venne scelto, intorno al XII secolo, dai monaci cistercensi per edificarvi un monastero, con attigua chiesa, che prese il nome di Santa Maria del Palazzo.
Il Monastero fu abitato dai monaci cistercensi sicuramente fino al 1564, quindi ne è attestata l'esistenza fino al 1652. La chiesa, ancora in piedi nel 1775, ma già in degrado, fu probabilmente abbandonata solo qualche tempo dopo.