Comprese all'interno del Parco Archeologico, recentemente realizzato dalla Comunità Montana Medio-Sangro –Zona R- di Quadri, le rovine dell'antichissima città, con le pietre ingrigite dal tempo e aggredite dai licheni gialli, sempre battute dal vento, sono silenziose testimoni di otto secoli di storia che solo la paziente opera degli archeologi dell'Istituto di Archeologia e Storia Antica dell'Università "Gabriele D'Annunzio" di Chieti, i quali dal 1980 curano gli scavi del sito di Juvanum, cerca di svelare riportando alla luce di anno in anno nuovi ambienti, il cui studio contribuisce a meglio conoscere questo centro sconosciuto, se si eccettua Plinio (Naturalis Historiae) e Tito Livio (Liber Coloniarum), alle fonti letterarie.
La visita di Juvanum, classificato dal Ministero dei Beni Ambientali area archeologica di interesse nazionale, è facilitata da pannelli descrittivi e sarà resa più interessante dall'imminente apertura del Museo Archeologico ubicato al primo piano della moderna struttura museale realizzata in prossimità dell'Acropoli.
Destinato ad accogliere il materiale archeologico rinvenuto nell'intero territorio dei Carecini Infernates ( tra cui si annovera un elmo a calotta emisferica di tipo gallico dellaprima metà del III secolo a. C., una testa marmorea di fine I secolo a. C. e la togata e acefala "statua della paura") il Museo Archeologico conserva attualmente nel suo antiquarium un sarcofago in pietra con coperchio a doppio spiovente, che reca sulla fronte un epitaffio inciso su nove righe. Il defunto era Marco Titatius Celer, un giovinetto di sedici anni, di rango equestre, amante della poesia; i dedicanti, invece, i suoi genitori Marco Titatius Rufus e Verania Severa.
L'itinerario di visita si snoda secondo un percorso che, partendo dal Santuario italico con i Templi sannitici e il Teatro, ci conduce nel complesso monumentale della città Romana, attraverso il quartiere orientale con la casa di Bacco, il Foro con le sue iscrizioni, la Basilica, le tabernae e il quartiere artigianale.
IL SANTUARIO ITALICO
Presso i Sanniti i Santuari, di solito legati alla presenza di una sorgente o di un bosco, considerati sacri, erano situati lungo i percorsi tratturali. Si componevano di un recinto che delimitava un'area consacrata a una divinità all'interno della quale trovava posto un tempio, nella cui cella si conservava l'effigie della divinità, e, nello spazio ad esso antistante, un altare per i sacrifici.
Il Santuario di Juvanum sorge sulla sommità di un'altura a nord-ovest della sorgente denominata "fonte Madonna del Palazzo" o, più semplicemente "fonte della Madonna", attorno alla quale, con la realizzazione del Parco Archeologico, è stata creata un'accogliente area per la sosta e il ristoro.
Si accede al santuario dopo aver percorso la vecchia strada di accesso al complesso archeologico che si apre, tra due enormi rocchi di colonne lì posizionati negli anni '60, a pochi metri dalla fontana in direzione nord-est. Anticamente, invece, la strada di accesso ricalcava, con tutta probabilità, la cosiddetta Via del Teatro, l'asse viario che, dipartendosi dalla Via Orientale, si inerpicava sulla sommità della collina raccordandosi, prima dell'ingresso nel santuario, con la Via del Foro, la strada basolata che conduceva sul pianoro.
Si entra nell'area sacra in prossimità dell'angolo sud-est del "temenos", il recinto sacro, che,costruito nel IV secolo a. C. oltre che per delimitare il santuario, anche con funzione di contenimento del terreno soprastante, appare ben conservato sul lato settentrionale e nelle estremità di quelli orientale e occidentale. A sud, invece, è solo ipotizzabile in quanto questa parte dell'Acropoli è stata sconvolta dalla costruzione prima del monastero cistercense di Santa Maria del Palazzo (XII secolo) e successivamente da una casa colonica (XIX secolo).
Il temenos, dell'estensione ipotizzabile di m. 40x46 circa, è costruito in opera poligonale con massi di grandezza maggiore e con tecnica più accurata sul lato nord (forse quello da mettere in maggiore evidenza).
All'interno del temenos sono presenti i resti di due templi affiancati distanti tra loro circa tre metri e con identico orientamento ad est.
I templi sannitici erano caratterizzati da un alto podio, con scalinata frontale, che immetteva in un atrio colonnato (il "pronao"), che, a sua volta, precedeva la "cella", dov'era custodita la statua di culto.
I due templi iuvanensi non sono cronologicamente contemporanei come testimonia anche il diverso tipo di pietra utilizzato (più porosa quella del tempio maggiore, che non si ritrova in nessun'altra costruzione iuvanense).
Il tempio maggiore ( cosiddetto "Tempio A" ), più antico, collocato più ad ovest, è stato in gran parte obliterato dalle strutture del monastero cistercense e della chiesa di Santa Maria del Palazzo, per la cui costruzione i monaci utilizzarono, come materiale di risulta, i resti della città ormai abbandonata.
Il monastero di Santa Maria del Palazzo, le cui rovine sono visibili nella parte occidentale della collina, era costituito da un edificio con accesso centrale che immetteva in un lungo corridoio sul quale si aprivano quattro vani. Alla sua destra, costruita sulla metà del tempio, ma a un livello più elevato, sorgeva la chiesa, della quale rimane un piccolo tratto di muro e un vano quadrato con pareti molto spesse (probabilmente il campanileIl Tempio A, edificato nella prima metà del II secolo a. C., occupava la parte centrale dell'Acropoli. Mal conservato, rimane libero dal materiale di crollo della chiesa il lato settentrionale del basamento e della cella e l'angolo nord-orientale. Come si può dedurre dai frammenti rinvenuti lì attorno, probabilmente aveva un podio con una gradinata addossata e quattro colonne poste sulla fronte (era, dunque, un tempio tetrastilo). Non sappiamo a quale divinità fosse dedicato. Forse a Ercole, il cui culto, strettamente connesso alle sorgenti e alla pastorizia, è documentato a Juvanum da un "Collegium Hercolaniorum" (ma in questa città è anche attestato il culto per Diana, Minerva Vittoria).
Il Tempio A, distrutto da un incendio, non fu più ricostruito.
Alla sua destra, nella seconda metà del II secolo a. C., in sua sostituzione, ne fu eretto un altro, di dimensioni minori (cosiddetto"Tempio B"). Anch'esso tetrastilo e con gradinata di accesso incassata nel podio, conserva le pareti ai lati della scalinata, nonché i muri perimetrali del pronao e della cella, che mostra anche una piccola parte del pavimento a lastroni di calcare.
Al santuario italico è strettamente connesso il Teatro situato alle pendici orientali dell'Acropoli. Costruito nel II secolo a. C. , unico nel suo genere esistente nella Provincia di Chieti, è stato riportato alla luce dagli scavi dell'Inglieri nel 1940 e restaurato, vent'anni dopo, a cura di Valerio Cianfarani.
Al teatro si accedeva da un diverticolo della strada basolata (chiamata, appunto, Via del Teatro) che, come già esposto, dipartendosi dalla Via Orientale (il "Cardo maximus"), conduceva fin sull'Acropoli.
Costruito alla maniera greca, comprendeva: la cavea, l'orchestra e il proscenio. Della prima, totalmente addossata al fianco della collina, che, oltre a ripararlo dai venti freddi del nord, permetteva un'ottima acustica, e dove prendevano posto gli spettatori, si conservano sette file di gradini realizzati con pietra locale. L'"orchestra", è lo spazio semicircolare posto tra la cavea e il proscenio, nella quale si esibivano i coristi e i danzanti.
Ben conservata, era accuratamente lastricata con pietre di dimensioni minori ai lati e più grandi al centro. Sul "proscenio", delimitato da una fila di blocchi sagomati inframmezzata da tre nicchie: semicircolare quella centrale e di forma quadrata le laterali, prendevano posto gli
attori.
Le rappresentazioni teatrali, affidate ad attori che recitavano con maschere di legno che ne amplificavano la voce, si svolgevano sulla "scena", che, a distanza di circa due metri, seguiva il proscenio e che poteva essere chiusa sul fondo da pannelli in legno o in muratura, sui quali dipingere la scenografia, o lasciata aperta.
Nella parte centrale della cavea, scavati nei gradini, sono presenti dei fori, tra loro in asse, che
probabilmente servivano per il sostegno dei pali utilizzati per tendere il "velarium", il telone
di copertura, nelle giornate inclementi.
Il teatro, oltre che per rappresentazioni teatrali, veniva utilizzato anche per assemblee politico-amministrative.
In connessione con il santuario sannitico erano anche alcune strutture utilitaristiche situate sul pianoro a nord dell'Acropoli.
Esse, infatti, non appaiono allineate con gli edifici della città romana costruita in epoca giulio-claudia, bensì seguono le curve di livello della collina.
Gli edifici più antichi, costruiti in età repubblicana, prima del Bellum sociale, comprendono alcuni locali situati a ridosso della Via del Foro, la strada basolata che scende dalla collina, alla sua destra. Quest'insediamento fu distrutto dalla costruzione della strada. {mosimage}Infatti le muraturedi questi ambienti continuano sotto di essa. Dopo la guerra sociale essi furono ricostruiti più ad est, con tutta probabilità contemporaneamente alla costruzione del primo tratto della Via del Foro con la quale sono in asse (il secondo tratto, al di là della fogna, è contemporaneo all'impianto forense, con cui venne raccordato determinandone il cambio di direzione). Questo nuovo insediamento, sempre costituito da ambienti utilitaristici a servizio del santuario (vi sono stati trovati un forno ceramico e due locali con cucina), ebbe continuità di vita, anche se riadattato per nuovi usi, fino al IV secolo d. C. .
Infatti, la fognatura costruita in prossimità della città romana, venne intenzionalmente deviata ad angolo per rispettare le strutture preesistenti da non distruggere.