Benedetto Croce è la personalità di maggiore rilievo che ha avuto i natali nel nostro paese.
Il 24 settembre 1966, sui ruderi della casa della famiglia Croce, alla presenza di Alda, Silvia e Lidia Croce, figlie del grande filosofo, nel centenario della sua nascita, fu apposta una lapide con su scritto; “Qui – distrutta dalla guerra – sorgeva la casa degli avi – di– Benedetto Croce – che con la sua opera immortale – ha reso ai suoi conterranei – sacro questo luogo”.
Figlio di Pasquale Croce e di Luisa Sipari, il filosofo, vissuto quasi sempre a Napoli, si interessò tardivamente dell’Abruzzo e dei due Comuni, Montenerodomo e Pescasseroli, che gli avevano dato i natali. L’occasione che lo spinse a scrivere la Monografia su Montenerodomo va ricercata nella sfera degli affetti familiari.
Quando, infatti, gli giunse notizia della morte di Nicola Croce, figlio del cugino Vincenzo, caduto durante la presa di Gorizia, al cugino affranto che dava la triste notizia ai parenti “con dolore e con orgoglio”, il Croce rispondeva così: “Nell’unirmi a te con sentimento, venni ripensando ai comuni ricordi, alle immagini dei nostri maggiori e alla terra da cui prendiamo origine. E allora mi nacque desiderio, mi parve quasi un vecchio debito non soddisfatto, di rivolgere alla storia di Montenerodomo un po’ di quell’industria di indagini che ho sparsa, nei lunghi anni della mia vita letteraria, su tanti altri argomenti.”
Dedicare, quindi, alla storia del paese – come egli scrive – “ove vissero ab antico i miei maggiori” un po’ del suo tempo dovette sembrargli un debito da soddisfare. Ed è quello che di lì a poco egli fece.
Dopo essersi recato nel nostro paese, nell’agosto del 1919, nel novembre dello stesso anno il Croce pubblicò la Monografia su Montenerodomo che, nel maggio 1924, provvide ad inserire, insieme a quella scritta due anni dopo su Pescasseroli, suo paese natale, in appendice alla “Storia del Regno di Napoli” per dare a questi lavori un degno e definitivo luogo di collocazione (il Croce nella prefazione a questo volume scrive: “Ho messo anche in fondo, due piccole monografie di storia locale; perché ... non ho saputo trovar luogo meno inadatto per quei due. In quelle storie di due minuscoli paeselli è dato vedere come in miniatura i tratti medesimi della storia generale, raccontata nella parte principale del volume. Ed esse poi rappresentano ... il legame d’affetto che mi stringe alle fortune di queste regioni...”
Dedicata al cugino Vincenzo Croce, allora capofamiglia del ramo montenerese la Monografia che porta il titolo di “Montenerodomo, Storia di un comune e di due famiglie” ripercorre la storia di Montenerodomo dal Medioevo al XX secolo indissolubilmente legata a quella dei Croce e dei De Thomasis, le due famiglie egemoni del nostro paese a partire dal XVII. E il Croce, rovistando pazientemente negli archivi comunali e parrocchiali, nella casa di famiglia ed in quella dei De Thomasis, ricostruisce l’albero genealogico della famiglia, tesse le lodi dei suoi antenati e, ripercorrendo con la mente le giornate trascorse a Montenero, si sforza di ritrovare nel suo intimo il legame che lo unisce ad essi ed al luogo nel quale vissero, ma si sente un po’ straniero e diverso giungendo alla conclusione di essere legato al proprio presente, al tempo e non al luogo: FILIU TEMPORIS piuttosto che FILIUS LOCI.
La ricostruzione della sua storia non è l’unico omaggio che il grande filosofo fece a Montenerodomo. Nel corso del suo soggiorno montenerese il Croce ottiene in visione dal cugino Vincenzo un manoscritto inedito di Giuseppe De Thomasis che, sebbene mutilo nel principio e nella fine, consegna alle stampe, sempre nel 1919, salvandolo dalla dispersione, con il titolo di “Sulla terra di Montenerodomo in Abruzzo”. Il piccolo volume, scritto dallo statista montenerese alla fine del XVIII secolo, descrivendo il paese natale, ci consente di conoscere le condizioni economiche, sociali ed amministrative dell’intero Abruzzo sul finire del ‘700.
Fu questo l’unico soggiorno montenerese del filosofo, ma il ricordo del paese dei suoi avi non lo abbandonerà mai e ricorre più volte nelle sue opere. Negli “Scritti e discorsi politici” ricorda l’incontro con Antonio Piccone Stella (definito dal filosofo ”un profugo dell’Abruzzo venuto da Torricella Peligna”) quando, nel gennaio 1944, durante il primo congresso democratico di Bari, apprese la notizia della distruzione dell’abitato di Montenerodomo e della morte di Elisa Croce, figlia del cugino Vincenzo, molto turbato, volle sapere quale sorte fosse toccata alla biblioteca del barone De Thomasis, dove, nel 1919, aveva ammirato le opere di Agatopisto Cromiziano, del Condillac, di Grozio, del Genovesi e di altri giureconsulti napoletani. Nei suoi “Taccuini di guerra”, infine, ricorda: “ho conosciuto una signora italo-cubana, Alba De Céspedes, autrice di un romanzo molto letto: “Nessuno torna indietro”. Mi ha narrato le sue avventure nella fuga da Roma a Casoli ... Ha, tra l’altro, passato trentasette giorni in una stalla, presso il paesino di origine della mia famiglia, Montenerodomo ...”. La scrittrice cubana fu, infatti, nascosta ed ospitata, insieme a profughi polacchi, in una masseria di Contrada Marangola prima di poter attraversare il fronte nell’autunno 1943.
Benedetto Croce e L’Abruzzo: BIBLIOGRAFIA
Si veda:
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B. Croce, Esuli in Rivista Abruzzese, 2/77
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R. Franchini, Per la posa di una lapide su B.C. in Rivista Abruzzese, 4/70
g. Cassandro, Benedetto Croce abruzzese, 3/66
B. Rosati, L’ecologia del rimorso in Rivista Abruzzese 26/98
AA.VV. La lunga guerra per il Parco Nazionale d’Abruzzo in Rivista Abruzzese 24/98
E. Croce L’infanzia dorata e ricordi familiari, Adelphi, Milano
E. Giancristofaro